lunedì 24 giugno 2013

Tutto quello che sono.

Volevo parlarvi un po' di me, visto che non l'ho ancora fatto. Solo che non trovo niente di interessante, niente che valga la pena dire. Io non sono il mio peso, le mie misure, le mie cosce, non sono solo come appaio. E invece il problema è che io mi considero esattamente così. Una persona senza qualità, incapace, non abbastanza brava a fare niente. Non ho altro su cui puntare se non il mio aspetto esteriore. Se ho una scatola vuota, il meglio che posso fare è decorarla in modo che almeno sia bella e piacevole alla vista, così importerà meno se non serve a niente. Il mio peso mi sembra l'unica cosa che posso cercare di cambiare in meglio, per assomigliare un pochino di più a quella che vorrei essere.


giovedì 20 giugno 2013

Di psicologi e pozzi troppo profondi

 C'è una lunga serie di motivi se non sono mai andata da uno psicologo.
Prima di tutto io non chiedo aiuto. Mai. Io sto sempre bene e non ho mai bisogno di niente. Io tengo tutto dentro, la rabbia, il dolore, la paura e non permetto a nessuno di avvicinarsi abbastanza da vedere cos'ho dentro. E fingo. Racconto un sacco di bugie, a tutti, in modo che pensino che sono esattamente come mi vorrebbero. Perché una delle mie paure più grandi è deludere le persone e se andassi da uno psicologo sentirei di aver deluso i miei genitori, che si impegnano tanto per darmi tutto quello di cui ho bisogno per farmi crescere bene. Mi sentirei in colpa perché gli farei spendere dei soldi e li farei preoccupare. Del resto il
senso di colpa è una delle colonne portanti della mia vita, mi sembra sempre colpa mia, di tutto, perché non ho fatto abbastanza, perché non sono abbastanza.
Poi mi sembra come se finché non lo dico ad alta voce, che ho un problema, finché tutto rimane solo nella mia testa sia meno grave, meno reale, che sia più probabile che un mattino sparisca come un brutto sogno. Insomma non voglio ammetterlo, preferisco nascondere la polvere sotto il tappeto, fare finta che non ci sia, ignorare la questione  invece di affrontarla.
E per finire ho paura di sembrare solo una ragazzina viziata che si inventa dei problemi per attirare l'attenzione. Va bene, non è normale sapere a memoria le calorie di praticamente tutto quello che mangio, contarle maniacalmente e poi  finire periodicamente a ingurgitare qualunque cosa mi capiti a tiro. Ma non ho nemmeno mai vomitato, il mio peso non è preoccupante e a vedermi sembro tutt'altro che denutrita ve l'assicuro, per cui mi sembra irrispettoso verso chi ha problemi seri, ecco. Però sono stanca di vivere in questo modo, di sentirmi uno schifo qualunque cosa faccio. Ogni giorno mi dico che adesso basta, cambierò,  sistemerò le cose e ogni giorno fallisco e mi sento sempre più lontana dalla meta. E'come se fossi dentro a un pozzo, cercando di risalire e non facessi altro che scivolare sempre più in basso. Mi sento impotente.












lunedì 17 giugno 2013

E ora?

Mi hanno invitato al mare dopodomani. Ho detto che sarei andata, ero così felice che avessero deciso di includermi. Piccolo dettaglio: ho passato gli ultimi tre giorni a infilarmi nello stomaco qualunque cosa possa definirsi commestibile, e di conseguenza sono una mongolfiera. Sembro incinta di sei mesi. Sono talmente fuori di me che mi sono pesata, cosa da non fare MAI dopo le abbuffate e quindi  ho passato il pomeriggio a piangere perché sono un barile di lardo schifoso che non sa trattenersi. Io ci tenevo ad andarci, a cercare di essere una ragazza che si diverte e si gode il sole e le vacanze con gli altri ma non posso, non posso, inventerò una scusa e dirò di no. La prossima volta imparo a non abbuffarmi come non so neanche cosa, perché neanche gli animali fanno così.



sabato 15 giugno 2013

Nice work you did, you're gonna go far kid.

Non ho voglia di parlare dell'altro giorno, né del compleanno di ieri sera, di come è andata a finire. Era scontato, avrei potuto descrivere perfettamente come sarebbe andata già nel momento in cui mi hanno invitato, è uno schema che si è ripetuto sempre uguale mille volte, ad ogni occasione in cui sono stata costretta a mangiare in compagnia a buffet o comunque senza poter ordinare esattamente quello che volevo mangiare e limitarmi a quello. Le cose vanno così:

- Appena arriviamo nel  locale, ristorante, posto che sia, tutti si buttano immediatamente sul mangiare, neanche fossero digiuni da anni e iniziano a riempirsi i piatti all'inverosimile. Di solito è pieno di quelle cose ipermegacaloriche che adoro ma non tocco più, se non quando mi abbuffo. Oltretutto, sapendo di dover mangiare fuori, sono rimasta a digiuno o quasi per almeno una giornata per limitare i danni, quindi con la fame che ho divorerei tutto, ma mi faccio forza e cerco disperatamente qualcosa di poco calorico, che possibilmente sia anche di grosse dimensioni, in modo da dare l'impressione di avere anch'io un bel piatto pieno.
-Generalmente niente risponde ai miei requisiti e mentre sto lottando con una parte di me che mi urla dentro la testa "nonmangiarlononmangiarlononmangiarlo" per riuscire a infilare in bocca la tortina/focaccia/pizzetta che normalmente non toccherei neanche morta, devo anche sorbirmi le frecciatine sarcastiche delle mie compagne su quanto poco mangio, sono anoressica e così via.
-Resisto eroicamente all'impulso di sbattergli il piatto in faccia, fingo di ridere e stare allo scherzo e poi mentre loro si ingozzano allegramente chiacchierando e ridendo io rimango in silenzio, a testa bassa, mentre la mia mente cerca di calcolare freneticamente le calorie di quello che sto mangiando.
-Non so dirlo con esattezza, inizio a immaginare numeri enormi, la disperazione sale, inizio a immaginare di scostare gli altri a spintoni e iniziare a farmi fuori tutto abbuffandomi senza controllo davanti agli sguardi sconcertati di tutti.
-Resisto ancora, rifiuto gentilmente tutto quello che posso, evito il dolce con una smorfia educata "C'è troppa panna, non mi piace molto". Rido di me stessa e mi chiedo quando mai un dolce possa aver avuto "troppa panna". Penso a quanto ci metterei a finire tutta la torta da sola. Se si brinda rovescio il bicchiere da qualche parte.
A questo punto si torna a casa e mi rendo conto che non ho praticamente aperto bocca per tutta la sera, sono rimasta in disparte tutto il tempo, presa dalle mie mille paranoie. Qui ci sono due possibili epiloghi
a) riesco a convincermi che con il cibo non è andata così male, che sono stata brava a trattenermi
b) non riesco a convincermi e mi abbuffo di cose a caso fino a star male




giovedì 13 giugno 2013

Lo chiamano festeggiare...

E mentre sono qui che cerco in ogni modo di far funzionare le cose e mantenere un po' di controllo come festeggeremo la fine della scuola? Con un bel picnic di classe, a base di cibi che grondano maionese, olio, nutella...insomma grasso da tutte le parti. Non andare è escluso, mi considerano già abbastanza asociale così, non c'è bisogno di dargli ulteriori motivazioni.
Possibile che la gente non sia capace di vedersi senza mettere del cibo in mezzo??
Possibile che io non sappia godermi una giornata in compagnia senza farmi ossessionare dal cibo?? 


È una cosa che riesce sempre a sconvolgermi, il vedere come quest'ossessione abbia il potere di cambiarmi. Sono una persona molto tranquilla, posata e di solito anche molto paziente, è veramente difficile farmi arrabbiare. Ma qualunque tentativo, da parte di chiunque, di interferire con la mia alimentazione mi fa letteralmente impazzire. Può essere mia mamma che non cucina quello che mi aspettavo, qualcuno che propone di andare a mangiare un gelato all'ultimo momento sconvolgendo i miei piani, mia nonna che fa porzioni troppo abbondanti e troppo condite, qualcuno che fa notare che mangio troppo poco o che sbuffa e fa commentini se rifiuto qualcosa...
Vado proprio in crisi, mi prende una rabbia assurda, mi viene voglia di buttare per terra il piatto, rovesciare il tavolo, piangere e gridare contro al "colpevole" i peggiori insulti che mi vengono in mente. Mi trattengo, ovviamente, come faccio sempre, al massimo poi mi chiudo in bagno a piangere e poi mi sento in colpa per la mia reazione sproporzionata, per l'odio che ho provato verso persone che mi vogliono bene, o comunque non hanno certo fatto niente di terribile. Emerge un lato del mio carattere che non conoscevo e sinceramente avrei preferito continuare a non conoscere.


domenica 9 giugno 2013

Vorrei sapere a che cosa è servito vivere, amare, soffrire

Oggi era il primo giorno di vacanza, mi sono svegliata col sorriso sulle labbra per la prima volta da mesi e ho cominciato la giornata con una colazione perfetta, andava tutto bene. Poi ho acceso il computer e ho saputo: due ragazze della mia età, di ritorno dalla discoteca, avevano avuto un incidente terribile ed erano morte. Non erano ubriache o drogate, improvvisamente una macchina è venuta loro addosso. Non c'è stato niente da fare, ho visto le foto della macchina, o meglio dell'ammasso di lamiere che ne è rimasto. Sembrava che una mano gigante l'avesse usata per fare una pallina. Andavano a scuola nella mia città, erano due ragazze bellissime, molto conosciute, a detta di tutti sempre con il sorriso sulle labbra. Io non le conoscevo nemmeno ma ne sono stata devastata.  Avevano appena finito la quarta, quella mattina avevano gridato di gioia con le loro amiche al suono dell'ultima campanella ed erano andate a ballare, l'anno scolastico alle spalle e davanti un'estate e una vita intera. Le ho immaginate mentre si divertivano e ridevano senza sapere che avevano solo poche ore davanti a loro, che salutavano gli amici: "allora ci vediamo", "a domani" e tornavano a casa su quella macchina, con quella stanchezza felice che si ha dopo una bella serata, le chiacchiere, la musica. Poi la fine così improvvisa, così ingiusta. Ho pensato ai genitori, al telefono che deve aver squillato nel mezzo della notte, al dolore più grande che una madre possa concepire. Agli amici che non riuscivano e non riescono ancora a credere che quelle due ragazze che erano con loro fino a ieri sera adesso non ci sono più. Vite spezzate, l'ultimo post su Facebook sul vestito da mettere quella sera, lontane anni luce dal pensare che il conto alla rovescia stava per finire. Perché ci si sente invincibili alla nostra età, si pensa che tutto andrà bene e che certe cose a noi non possono capitare. Il pensiero della morte è lontano e se ci sfiora passa con la stessa rapidità con cui è arrivato. E invece siamo così piccoli, così fragili, un attimo ci siamo e quello dopo no. Ho pianto e -me ne vergogno moltissimo, credetemi- mi sono abbuffata, mandando tutto giù in gola senza nemmeno respirare cercando di sfamare l'angoscia, quel mostro orribile che mi stava divorando dentro. Queste tragedie senza un perché sono uno scossone durissimo che fa crollare il castello tutte le nostre convinzioni, i nostri ragionamenti pieni di logica, i nostri sforzi di rendere le nostre vite perfette, le nostre illusioni che il progresso ci abbia reso invincibili e immortali. Ci lascia inutili, impotenti e ci fa sentire un pochino colpevoli: in una parola, sconfitti.


Lunga e diritta correva la strada, 
l'auto veloce correva
la dolce estate era già cominciata, 
vicino a lei sorrideva.
Forte la mano teneva il volante, 
forte il motore cantava
non lo sapevi che c'era la morte 
quel giorno che t'aspettava. 

Non lo sapevi che c'era la morte, 
quando si è giovani è strano
poter pensare che la nostra sorte 
venga e ci prenda per mano. 

Non lo sapevi ma cosa hai pensato 
quando la strada è impazzita
quando la macchina è uscita di lato
e sopra un'altra è finita. 

Non lo sapevi ma cosa hai sentito 
quando lo schianto ti ha uccisa
quando anche il cielo di sopra è crollato 
quando la vita è fuggita. 

Dopo il silenzio soltanto è regnato 
tra le lamiere contorte
sull'autostrada cercavi la vita 
ma ti ha incontrato la morte. 

Vorrei sapere a che cosa è servito 
vivere, amare e soffrire
spendere tutti i tuoi giorni passati
se presto hai dovuto partire. 

Voglio però ricordarti com'eri, 
pensare che ancora vivi
voglio pensare che ancora mi ascolti
e come allora sorridi.




giovedì 6 giugno 2013

Come tentare di migliorare la propria vita e fallire miseramente.

Quando mi resi conto di essere grassa decisi di colpo che così non potevo continuare. Il periodo in cui non avevo mangiato grano mi aveva fatto capire che ce la potevo fare a vivere anche senza tonnellate di carboidrati. Cercai informazioni su internet e iniziai quella che mi sembrava un'ottima dieta, con il minimo di calorie per non distruggere il metabolismo. Eppure per come ero abituata, per lo studio e lo sport che facevo soffrivo terribilmente la fame, senza contare che mettevo piede per la prima volta nell'universo dei grammi e delle calorie e attribuivo a tutti i cibi dei valori altissimi per paura di sottostimarli.
 Intanto come al solito continuavo a pretendere il massimo da me stessa in ogni campo. Iniziai a pesare tutto quello che potevo di nascosto dai miei, e facevo i calcoli con la mia solita precisione maniacale: se per errore sgarravo, anche di 10, 20 kcal era finita: ormai la giornata era rovinata e mi abbuffavo per il resto della giornata, di tutto quello che trovavo. Cercavo in ogni modo di trovarmi da sola in casa, o comunque di tenere lontani gli altri dalla cucina; nell'attesa smaniavo, ero come eccitata, odiavo tutti quelli che avevo intorno perché non se ne andavano impedendomi di fare quello che volevo: abbuffarmi. Mangiavo tutti i cibi che mi negavo di solito: biscotti, merendine, grissini, focacce, formaggi...dolce e salato mescolato, cose cotte, crude, semicongelate. Andavo a fare la spesa di nascosto per comprare pacchi di schifezze con cui continuare l'abbuffata. Arrivai a tirar fuori cibo dal bidone e mangiarlo. Mangiavo senza controllo, 7000 calorie e più, andavo avanti anche per ore, finché non riuscivo a stare dritta dai crampi e il mio stomaco passava dall'implorar pietà al minacciare di buttare fuori tutto.
Ovviamente dopo mi sentivo in colpa, sporca, schifosa e seguivano pianti davanti allo specchio, notti insonni di dolori e promesse che era l'ultima volta, l'ultima davvero. Ma non lo era mai e all'abbuffata seguiva il digiuno per compensare e poi un'abbuffata per compensare il digiuno. Poi c'erano periodi in cui seguivo la dieta che mi ero prefissata, così in un modo o nell'altro dimagrivo e raggiunsi il peso che pensavo di volere: ero lontana anni luce dal piacermi e continuai. Un mese dopo l'altro sono ancora qua, con il pensiero fisso a pianificare quanto, quando e cosa mangio, che mi guardo allo specchio e non mi sembro mai magra abbastanza e mi dico che devo perdere altri chili, perché quando ce l'avrò fatta finalmente tutto andrà a posto, gli altri inizieranno a volermi bene e la mia vita sarà perfetta. Lo so che non è vero, lo so che a nessuno importa se arrivo a 40 chili o a 35 o a 2 e non cambierà assolutamente niente, lo so eppure continuo ad agire come se non lo sapessi.











mercoledì 5 giugno 2013

Circostanze.

So che il rapporto con il cibo è solo una conseguenza del rapporto che ho con me stessa e non è da qui che dovrei partire. Purtroppo però è diventato una presenza sempre più costante e ingombrante nei miei pensieri e nelle mie azioni, quindi se devo parlare della mia vita devo parlare per forza anche di cibo. Come sono arrivata a questo punto?
Alle elementari ero una bambina magra, lo riconosco, e se ripenso a quegli anni non ricordo nemmeno cosa mangiassi, il cibo era l'ultima delle mie preoccupazioni. Amavo pane, pasta, pizza e biscotti e fin da piccolissima non toccavo praticamente frutta e verdura. Ovviamente complice lo sviluppo il mio peso iniziò a lievitare. Ma all'epoca non me ne preoccupavo, tutte le mie amiche erano anche più in carne di me e andai avanti per anni a mangiare, mangiare tanto e in ogni momento senza preoccupazioni.Tutta la mia famiglia è un po' dell'idea che più uno mangia, più è in salute e mi abituai a considerarmi sazia solo quanto veramente non avrei potuto mandare giù neppure un altro boccone. Pranzavo e dopo un'oretta gironzolavo di nuovo in cucina in cerca di merendine.
Iniziai le superiori: la mia scuola è il liceo più rinomato della città, ci sono tutti i figli delle famiglie più ricche e più in vista. In fondo avevo 14 anni ed ero già molto insicura, non c'è da stupirsi se qualcosa in me cominciò a vacillare alla vista di tutte quelle ragazze stupende, truccate, firmate da capo a piedi e soprattutto rigorosamente magrissime. Non ci sono ragazze sovrappeso nella mia scuola, o almeno non per molto. 
Nonostante tutto non è da qui che è cominciata. Ero molto a disagio ma non per i chili di troppo: mi sentivo fuori posto, avevo ottimi voti ma ero riservata e silenziosa e non riuscivo a fare amicizie, mi vedevo brutta  e mi vergognavo dei miei vestiti, essere grassa era solo l'ennesimo dei miei difetti. E poi non pensavo proprio di poterci fare qualcosa, il mio amore per il cibo era troppo forte e non concepivo l'idea di potermi limitare. Anzi, per lo stress delle interrogazioni e verifiche mangiavo ancora di più: i miei pomeriggi erano fatti di pianti, studio e pacchi di biscotti.
Poi successero due cose. 
1) La mia migliore amica cominciò a dimagrire a vista d'occhio. Mangiava quasi solo frutta e verdura, in quantità ridicole. La gente veniva a chiedermi se mangiava abbastanza e la scuola telefonò ai suoi genitori, ma intanto i suoi voti miglioravano sempre di più, i ragazzi facevano la fila per lei, usciva spesso e aveva moltissimi amici. Dopo qualche tempo le sue gambe non mi facevano più spavento ma invidia.
2) Iniziai a soffrire di mal di pancia terribili, che mi costringevano a correre in bagno ovunque mi trovassi. Test su test per allergie, intolleranze e malattie varie senza risultati e intanto quando dovevo uscire non mangiavo niente o quasi, per essere tranquilla, anche perché in quel periodo uscivo con un ragazzo. Da uno degli esami sembrava che fossi allergica al grano così lo eliminai. In breve iniziai a dimagrire parecchio.
Erano ormai arrivate le vacanze, il ragazzo mi aveva lasciato e non avevo più alcun motivo di trattenermi. In estate iniziarono le abbuffate serie: se dovevo uscire digiunavo quasi tutto il giorno e poi la notte, appena tornata, mangiavo tutto quello che trovavo in dispensa, senza rimorsi perché, pensavo, tanto ero magra ora, potevo permettermelo. Non uscivo poi così spesso e nei giorni comuni mangiavo da scoppiare senza problemi, com'era sempre stata mia abitudine. Finalmente un giorno di inizio settembre vidi le mie foto di un pomeriggio in piscina e mi resi conto della realtà: ero più grassa che mai.

martedì 4 giugno 2013

Inizio.

Un respiro profondo. Pronti, via.
 Rompere il ghiaccio è solo una delle tante, troppe cose per cui mi considero negata e che di solito evito in ogni modo di dover fare. Per anni ho cercato di tenermi lontana da tutte le situazioni che temevo mi avrebbero fatta sentire ancora di più non all'altezza, debole, incapace, una delusione. Alla fine mi è rimasta solo la scuola, in cui ho riversato tutta la mia ansia di perfezione e il mio desiderio di essere apprezzata.
 E poi mi sono resa conto che in questo modo non avevo fatto altro che allontanarmi sempre di più da tutto e da tutti, rifugiandomi sempre più nella malsana idea che non fare niente è l'unico modo per non fare niente di sbagliato.
Oggi mancano pochi giorni alla fine dell'anno scolastico e mentre gli altri hanno fatto i loro progetti e non vedono l'ora che arrivi l'estate per essere finalmente liberi di divertirsi, mi è crollata addosso la consapevolezza che a me non è rimasto niente se non un pessimo rapporto con il cibo.
Così ho deciso di cercare di smettere di limitarmi e per una volta sfidare me stessa, dimostrarmi che valgo qualcosa. Un blog mi è sembrato un buon compromesso, ho un impegno da portare avanti e per di più rendo pubblici i miei pensieri, la cosa più preziosa che ho, ma scrivendoli e senza dover parlare davanti a nessuno. Senza contare che sono protetta dall'anonimo e dal fatto che dubito che molta gente passerà di qua.
Non è la prima volta che ho quest'idea, ma quello che faccio di solito è scrivere e riscrivere mille volte in modo diverso una frasetta in cima alla pagina bianca, perché non sono mai soddisfatta, perdere ore per poi dirmi che è tutto inutile e rinunciare. Questa volta non voglio che sia così. Voglio anch'io lasciare un segno, ritagliarmi il mio posto nel mondo, imparare a dire la mia. Smettere di chiedere scusa a chi mi pesta un piede potrebbe essere un buon punto di partenza