domenica 9 giugno 2013

Vorrei sapere a che cosa è servito vivere, amare, soffrire

Oggi era il primo giorno di vacanza, mi sono svegliata col sorriso sulle labbra per la prima volta da mesi e ho cominciato la giornata con una colazione perfetta, andava tutto bene. Poi ho acceso il computer e ho saputo: due ragazze della mia età, di ritorno dalla discoteca, avevano avuto un incidente terribile ed erano morte. Non erano ubriache o drogate, improvvisamente una macchina è venuta loro addosso. Non c'è stato niente da fare, ho visto le foto della macchina, o meglio dell'ammasso di lamiere che ne è rimasto. Sembrava che una mano gigante l'avesse usata per fare una pallina. Andavano a scuola nella mia città, erano due ragazze bellissime, molto conosciute, a detta di tutti sempre con il sorriso sulle labbra. Io non le conoscevo nemmeno ma ne sono stata devastata.  Avevano appena finito la quarta, quella mattina avevano gridato di gioia con le loro amiche al suono dell'ultima campanella ed erano andate a ballare, l'anno scolastico alle spalle e davanti un'estate e una vita intera. Le ho immaginate mentre si divertivano e ridevano senza sapere che avevano solo poche ore davanti a loro, che salutavano gli amici: "allora ci vediamo", "a domani" e tornavano a casa su quella macchina, con quella stanchezza felice che si ha dopo una bella serata, le chiacchiere, la musica. Poi la fine così improvvisa, così ingiusta. Ho pensato ai genitori, al telefono che deve aver squillato nel mezzo della notte, al dolore più grande che una madre possa concepire. Agli amici che non riuscivano e non riescono ancora a credere che quelle due ragazze che erano con loro fino a ieri sera adesso non ci sono più. Vite spezzate, l'ultimo post su Facebook sul vestito da mettere quella sera, lontane anni luce dal pensare che il conto alla rovescia stava per finire. Perché ci si sente invincibili alla nostra età, si pensa che tutto andrà bene e che certe cose a noi non possono capitare. Il pensiero della morte è lontano e se ci sfiora passa con la stessa rapidità con cui è arrivato. E invece siamo così piccoli, così fragili, un attimo ci siamo e quello dopo no. Ho pianto e -me ne vergogno moltissimo, credetemi- mi sono abbuffata, mandando tutto giù in gola senza nemmeno respirare cercando di sfamare l'angoscia, quel mostro orribile che mi stava divorando dentro. Queste tragedie senza un perché sono uno scossone durissimo che fa crollare il castello tutte le nostre convinzioni, i nostri ragionamenti pieni di logica, i nostri sforzi di rendere le nostre vite perfette, le nostre illusioni che il progresso ci abbia reso invincibili e immortali. Ci lascia inutili, impotenti e ci fa sentire un pochino colpevoli: in una parola, sconfitti.


Lunga e diritta correva la strada, 
l'auto veloce correva
la dolce estate era già cominciata, 
vicino a lei sorrideva.
Forte la mano teneva il volante, 
forte il motore cantava
non lo sapevi che c'era la morte 
quel giorno che t'aspettava. 

Non lo sapevi che c'era la morte, 
quando si è giovani è strano
poter pensare che la nostra sorte 
venga e ci prenda per mano. 

Non lo sapevi ma cosa hai pensato 
quando la strada è impazzita
quando la macchina è uscita di lato
e sopra un'altra è finita. 

Non lo sapevi ma cosa hai sentito 
quando lo schianto ti ha uccisa
quando anche il cielo di sopra è crollato 
quando la vita è fuggita. 

Dopo il silenzio soltanto è regnato 
tra le lamiere contorte
sull'autostrada cercavi la vita 
ma ti ha incontrato la morte. 

Vorrei sapere a che cosa è servito 
vivere, amare e soffrire
spendere tutti i tuoi giorni passati
se presto hai dovuto partire. 

Voglio però ricordarti com'eri, 
pensare che ancora vivi
voglio pensare che ancora mi ascolti
e come allora sorridi.




2 commenti:

  1. Adoro questa canzone dei nomadi,tratta di una storia tragica come quella che hai riportato tu.
    Non ci sono parole per descrivere la situazione,solo:INGIUSTIZIA.
    Spero che tu stia un po' meglio,
    Francesca

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    1. Grazie delle tue parole, hai ragione, non c'è parola più adatta.

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